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DELL’EUROPA DEL NORD E DEI VIAGGI LONTANI DALLA REALTA’

22 marzo 2023

Sono passati quasi due mesi, e cosa è cambiato? Praticamente nulla.
Senonchè tutto quel disequilibrio e quelle montagne russe si sono ridimensionate, se prima erano Everest e fossa delle Marianne adesso sono Monte Rosa e Olanda, magari arriveranno ad essere Monviso e lago delle Rovine (rovine, di certo), e poi chissà, bassa langa e pianura, e poi un lungo rettilineo piatto e monotono che mi stuferà e mi farà cambiare dolore.

Attualmente lui si trova nei fiordi del nord Europa con la sua fidanzata, pensa, non sono io, perchè io invece sono qua al paese a lavorare, reduce da una fottuta gastroenterite che inizialmente pensavo psicosomatica e che poi fortunatamente ho scoperto essere virale. Altrimenti tutti i miei colleghi ammalati dovrebbero avere il proprio amato in Norvegia con la fidanzata ufficiale, ma non è così. Evviva i virus, evviva la democrazia.
Mentre lui è in nord Europa a sciare vista mare con la fidanzata, mi scrive quanto gli manco, e io, che per natura sono poco propensa all’amor proprio e alla dignità gli rispondo che anche lui mi manca tanto, e non vedo l’ora di riabbracciarlo. Quanto mi faccio vomitare? E no, questo non è il virus.

Mi sono data un tempo di scadenza per decidere cosa fare di questo amore (no, i miei buoni propositi verranno totalmente cestinati), ma è un “da consumarsi preferibilmente entro” e non “da consumarsi entro”. In quell’avverbio sta tutta la differenza sostanziale tra cosa vorrei succedesse e cosa succederà. La data indicativa e arbitraria è Luglio, prima delle mie ferie estive, prima del mio compleanno, prima, spero, della mia perdita totale di aderenza con la realtà. Entro luglio vorrei capire se lui prenderà delle decisioni, se queste mi comprendono, mi eliminano, mi tollerano, mi vogliono. Entro Luglio vorrei sapere se rimarrò ancora qua ad aspettare e a raccogliere le briciole che ogni tanto lui lascia cadere dal desco. Entro Luglio sapremo, cari 5 lettori, se ho abbastanza forza di volontà per dire no (vedi buoni propositi 2023). Oppure’ come la sottona che sempre sono stata e che sempre sarò, rimarrò a capo chino a dire ok, calpestami pure, va tutto bene, anche l’erba a lungo calpestata alla fine diventa sentiero. Cristo santo.

In chiosa, rendo edotti i miei 5 lettori che venerdì lui torna in Italia, con la fidanzata, suppongo, e io sabato parto per una settimana di vacanza (da sola, ovviamente) e che quindi tutto va straordinariamente bene. Come potrebbe andare meglio, mi chiedo.
I dettagli poi sarebbero ancora tanti, ma per ora chiudo questo straziante post harmony e vado a leggermi un libro di più alta caratura. Consiglio a voi di fare lo stesso.
Ciao

DEL DISEQUILIBRIO E DELLA VITA

2 febbraio 2023

Domani a mezzogiorno mi aspetta la mia psicologa, suppongo vorrà che io in qualche modo risponda alla sua domanda di due settimane fa, “se dici che va tutto male, perchè sei ancora lì? A quale dei tuoi bisogni risponde questa persona per cui tu mi parli e mi dici che tutto va male, ma me lo dici col sorriso e il brillio degli occhi?”

E siccome una risposta da darle io non ce l’ho, io provo a scrivere qua, che scrivere mi è sempre stato di catarsi, cosa mi tiene qua? Cosa mi fa dire aspetto ancora un po’ prima di dire basta?

L’unica risposta, vaga, imprecisa, che riesco a trovare è l’equilibrio, ovvero la mancanza di –
Questa sensazione orribile, ma a quanto pare che in fondo mi piace anche un po’, che mi fa arrampicare, sciare, che mi fa lavorare in un pronto soccorso, che mi fa lasciare una situazione stabile in una settimana, che mi fa sbandare con più frequenza di quella consentita dalla legge, quella sensazione che è rimanere sul filo tra l’equilibrio e la caduta.
Ma se in arrampicata c’è la corda che ti tiene, se cadi, e la maggior parte delle volte sono cadute sicure e senza conseguenze, nella vita non c’è nè corda nè materasso nè tappeto nè cumulo di neve, nella vita tutte le cadute sono dolorose, e allora quella sensazione di equilibrio precario, che sto in piedi un momento, il momento dopo non più, il baricentro che si sposta, fuori dal corpo, incontrollabile, a metà strada tra me e te, quindi non più sotto il mio controllo, il baricentro mio che comandi tu, a seconda di come ti muovi l’equilibrio è garantito oppure per nulla, la perdita di controllo è sicura, ecco che forse è questo il mio bisogno, sentirmi fuori equilibrio, per ricercarlo attivamente.

Cosa mi tiene legata a te, in attesa, che mi vuoi poi non mi vuoi poi si poi no poi si poi no poi vediamo come andrà. E io a metà strada tra la vita è un battito d’ali godiamoci ogni istante chi se ne importa di domani e devo trattarmi bene e pure tu devi trattarmi bene non posso accontentarmi di attimi perchè io voglio tutto, ogni cosa bella e brutta e tutti i giorni e non solo quindici messaggi nelle 24 ore e vederci una volta ogni tanto.

A quale bisogno risponde quindi questa relazione, chiamiamola quale è, assurgiamola a rango di relazione, al mio bisogno di essere voluta e allontanata, cercata e dimenticata, amata e non tenuta, risponde a quell’amore che ho scoperto essere il primo che ho imparato, l’unico che ho imparato, l’amore di mia madre.
Perlomeno sto imparando che l’unico amore che conosco, quello per cui non valgo per quello che sono ma per quello che faccio e per i risultati che raggiungo, non è il solo modo che esiste per amare, e che posso mettere tutte le carte sul tavolo da gioco, non nascondermi, dire cosa provo e cosa vorrei, lasciare all’altro la mano libera per giocare con me, senza che gli occhiali mi nascondano le debolezze e le paure oltre che le occhiaie, eccomi qua, sono tutta questa, vorrei vivere questa storia, vedi tu, cosa vuoi fare con me, non mi nascondo, non sono dura, autonoma, indipendente, libera, sono solo io, con tutto il mio bagaglio, non mi sono legata non ho corda materasso neve, se cado mi faccio male lo so, ma va bene così, forse ne vale la pena, forse no, ma come dice un mio amico innamorarsi fa sempre bene, a prescindere da come finirà, perchè è l’unico modo che abbiamo per sentirci vivi. E non è vero che dobbiamo preservarci dagli impatti della vita, come dice un altro mio amico, che dobbiamo impegnarci solo in rapporti che non abbiano impatto, al contrario, voglio impegnarmi solo in situazioni per cui ne valga la pena, che mi facciano sentire piena di vita, e di dolore e di voglia e di chimica e di sogni e non dormire e non mangiare perchè a cosa serve mangiare se hai lo stomaco pieno di gioia e terrore?

Domani a mezzogiorno non avrò risposte, come sempre la mia frase sarà “non lo so”.

SONO PASSATI SOLO 20 GIORNI

21 gennaio 2023

Sono passati 20 giorni dall’inizio dell’anno e ho già disatteso gran parte dei propositi che mi ero data. Tempo per recuperare ce n’è, per carità, ma l’inizio non promette bene.
Ho pianto più del necessario, ho riso poco, ho già smesso di leggere, ho avuto di nuovo (quasi) un attacco di panico, non mi voglio abbastanza bene.

Se mi volessi sufficientemente bene, di certo non mi accontenterei delle bricioline lasciate cadere dalle tasche, di certo non mi tratterei come mi tratto, di certo sarei più rigida su come farmi trattare dagli altri.

Ma sentimentalmente ho ancora 16 anni (ma a 16 anni ero molto più attenta di adesso, al mio cuore) e mi innamoro facilmente e sempre delle persone sbagliate.

CHI SCRIVE A CAPODANNO SCRIVE TUTTO L’ANNO?

1 gennaio 2023

L’anno appena concluso è stato l’anno della mia scoperta, lenta e ancora in corso, graduale e in avanzamento. Sto scoprendo chi sono e soprattutto come “funziono” e disfunziono, quali sono i pezzi del puzzle del mio passato che mi hanno portato nella vita a scegliere relazioni di un certo tipo e perchè ho sempre ricercato un determinato tipo di rapporto con le persone di cui spesso mi sono circondata.
Un po’ più consapevole dunque mi appresto a vivere questo nuovo anno sperando di avere la forza di contrastare le mie tendenze cataboliche, sperando di attirare a me allegria, leggerezza e libertà, ma anche, perchè no, persone che mi apprezzano e da cui io riesca a non scappare e a non essere annoiata e infastidita.

I buoni propositi di quest’anno:

  • Scrivere
  • Leggere
  • Ballare
  • Dire di no
  • Ridere tantissimo
  • Piangere pochissimo
  • Continuare la terapia
  • Diventare consapevole
  • Bagnare le piante prima che me lo chiedano perfavore
  • Continuare a vivere da sola
  • Scalare tanto
  • Studiare
  • Essere autentica

Ciao

DELL’AMICIZIA IN ETÀ’ ADULTA (NON IMPOSSIBILE, NON FACILE)

20 dicembre 2022

Più di due anni che non scrivo su questo mio diario. Come corre il tempo quando ci si diverte, eh?
Un anno fa avevo addirittura comprato una tastiera e un mouse wireless per poter scrivere quassù, ma ci sono voluti ben più di 12 mesi perché io trovassi la volontà di ficcarci dentro delle batterie (molto strano e casuale che in casa ne avessi della dimensione adatta) e recuperassi la password per venire a tirare le fila di questi due anni, ohpercarità, di questi mesi della mia vita, per voi, 25 lettori, che ormai sarete più solo 4, o 5, o per meglio dire, per me, che alla fine io ho sempre e solo scritto per una persona sola, me stessa.

Ho sostituito la scrittura con una terapeuta; svolgono lo stesso lavoro, con parcelle differenti e risultati simili.

Cosa è successo in questi due anni mi sembra improbabile che io possa riassumerlo in poche righe. Ma, per chi mi conosce un po’, non sarà una sorpresa scoprire che ho chiuso la relazione col giovane vecchio, ne ho fatto un dramma, ne sono uscita strisciando, ho cambiato casa, e son ancora qua a chiedermi perchè e per colpa di chi e cosa voglio fare io della mia vita, probabilmente partire e non tornare più.

E’ morto Franco, un anno e mezzo fa. E mi manca ancora tantissimo. Mi mancava già prima, che non ci vedevamo da troppo tempo. Sono andata a trovarlo in hospice, e non dimenticherò mai quelle due ore passate insieme tra veglia e sonno, il bacio che mi ha dato prima che uscissi e la raccomandazione paterna “guida piano”. Per fortuna guidava mio padre, che mi aveva accompagnato, perchè io non avrei potuto vedere la strada, con tutta quella tristezza negli occhi.
Al funerale avevo la testa e il cuore che scoppiavano di incertezza, volevo solo gli abbracci di qualcuno che mi sostenesse e li ho trovati nella persona sbagliata.
L’inizio della fine.

Ed è di questo che mi preme scrivere. Dell’unica certezza che fonda le mie giornate, l’amicizia.
Che sebbene la mia vita sia stata (sia?) costellata di amori, fugaci e meno, distruttivi spesso, duraturi a volte, ciò che rimane sempre nonostante tutti i cambiamenti è l’amicizia. Anche gli amici nuovi, la capacità che ho (pat pat sulla spalla) di conoscere persone (non facile) e di legarmi a loro con un sentimento di bene vero.
Persone di diversa provenienza, età, occupazione, ma simili a me per come vediamo questo povero mondo, per come ci stupiamo davanti a un prato, per come ci emozioniamo ascoltando della musica. La rete che mi sono creata in età adulta (pat pat sulla spalla) di persone cui mi lega il bene che ci vogliamo, è ciò che più mi rende orgogliosa di me stessa. Una rete molto larga, molto libera, senza giudizi, senza regole, ma solida.
E’ la rete che mi ha sostenuta quando un anno fa mi accasciavo a terra con gli attacchi d’ansia, senza aria e senza vestiti. La rete che ho e che mi merito (ok, l’ho scritto).

Non so più scrivere, ma vorrei tornare a farlo.
Magari lo farò.
Magari torno tra due anni.

LA SCELTA PLANT-BASED

10 dicembre 2020

Avevo già letto “Perchè mangiamo gli animali?” del mio caro scrittore preferito Jonathan Safran Foer, anni fa.
A marzo poi ho letto il suo successivo libro “Possiamo salvare il mondo prima di cena” (nel frattempo aveva scritto “Eccomi”, forse il libro più mio di sempre, che consiglio a tutti, sempre, in ogni caso).
In “Possiamo salvare il mondo prima di cena” analizza l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi e arriva alla conclusione che se tutto il mondo occidentale si votasse al consumo di prodotti animali e di derivazione animale solo una volta al giorno, simbolicamente la cena, il pianeta avrebbe qualche chance di sopravvivere al collasso che sta vivendo (e noi con lui). Pragmaticamente, Foer sostiene che sia impossibile cambiare totalmente l’alimentazione della popolazione: sarebbe infatti improbabile l’abbandono completo degli alimenti animali per un passaggio ad una dieta vegana per tutti, ovunque. Per contro di questa idea utopistica e irrealizzabile, immagina dunque un mondo in cui la maggior parte della popolazione mondiale consumi prodotti animali solo una volta al giorno, o anche meno, considerando anche che ad oggi i poveri nel mondo hanno un’alimentazione basata su cereali e legumi, e che sono gli europei e gli americani a contribuire maggiormente alla domanda di prodotti animali e dunque a sostenere gli allevamenti intensivi e il loro indotto (di deforestazione, sfruttamento, dolore e inquinamento).

Ecco, ho pensato, questo è giusto ed è fattibile. Avevo già provato una volta a diventare vegetariana. Durata dell’esperimento: un mese, fintanto che mia nonna non mi cucinò la carne alla milanese. Ero giovanissima e mi mancavano basi e supporti. Nonostante questo piccolo fallimento, spesso avevo già pensato che sarebbe stato giusto e salutare diminuire il consumo di carne. Dal pensarlo al farlo, mille ostacoli. Primo fra tutti la pigrizia e la mancanza di motivazione.
Ma il solletico fatto dal libro di Foer mi ha fatto dire: perchè no?
Complice il primo lockdown serrato, l’impossibilità di cene fra amici, la difficoltà del fare la spesa, il maggiore tempo libero per cucinare, i ristoranti chiusi, a marzo ho cominciato ad eliminare la carne.

Contestualmente ai miei turni di riposo o gli smonti, non potendo uscire di casa, ho guardato tre documentari.
Cowspiracy, sempre improntato ad una vista ambientalista delle scelte alimentari, che non ha fatto che sottolineare quanto avevo interiorizzato dal saggio “Possiamo salvare il mondo prima di cena”.
What the health, la dieta vegana e quella onnivora, le conseguenze sulla salute, i rischi di cancro correlati al consumo di carni lavorate e carni rosse, le correlazioni tra consumo di latte vaccino e tumore al seno. Diabete, ipertensione, obesità e dieta. Insomma, anche la salute avrebbe beneficiato quanto più vegetale decidessi di mangiare.
Game changers, a me che ho piccole velleità sportive, come avrei mai potuto continuare a farle senza mangiare carne? E l’anemia? E il ferro? Non avrei mai più potuto andare in bicicletta o scalare, se avessi smesso di mangiare derivati animali. Avrei dovuto scegliere tra salvare il pianeta (o meglio, dare il mio minuscolo e infinitesimale contributo) e continuare a vivere normalmente. E invece no. Mi sembrava quasi impossibile scoprire che si può vivere benissimo, in salute e facendo sport, anche senza bere latte e mangiare carne.

Questo è stato l’inizio. Un misto di amore ambientale, cura per la mia salute, possibilità che non credevo possibili.
Ad aprile ho smesso di mangiare pesce.
A maggio ho smesso con le uova e i formaggi*. Io che non mangio uova non l’avrei mai e poi mai e poi mai creduto possibile. Io che le uova le avrei mangiate in ogni modo: fritte crude sode strapazzate all’occhio di bue in camicia in frittata nelle torte nella pasta nei flan, in ogni santissimo modo.
Sono passati pochi mesi e ora il sapore dell’uovo non mi piace più.

Ho chiesto aiuto a due amici vegani, una sportivissima mia ex collega di università, l’altro un mio lontano amico passato all’alimentazione plant-based per motivazioni prettamente animaliste. Mi hanno dato consigli, supportata, invitata in gruppi di ricette vegane, e indirizzata ai profili più autorevoli per un’alimentazione vegana sana.
Il punto di vista animalista, dicevo, proprio non mi toccava. L’ambiente sì, la salute anche. Gli animali, beh, non potevo farmi carico anche dell’etica e della morale dello sfruttamento animale. Non era cosa mia, i cani e i gatti mi piacciono, anche i cavalli, i conigli e i maiali, le mucche pure, ma della loro sorte non son mai stata attenta. Quindi se avessi smesso del tutto col consumo delle loro carni non sarebbe stata perchè sono “vegana” in senso stretto (e quindi antispecista) o perchè sono buona, ma per altre motivazioni, pur sempre nobili ma non così nobili.

Ho quindi smesso di consumare carne e pesce, uova e formaggi*. Ho letto libri di nutrizione vegana, ho fatto gli esami del sangue, ho comprato le pastiglie di b12, ho iniziato a seguire blog di ricette plant-based e ho fatto incetta di semi, verdure, cereali, legumi. Alcuni non li avevo mai sentiti nominare.
Nei mesi il mio palato ha cambiato gusti, non brama più carne e pesce, alcuni profumi sono diventati puzze e quando ho voglia di ragù mi sembra non ci sia niente di più buono di un ragù di lenticchie.
Ho imparato a sorvolare sui vegan-nazi e sulle mie imperfezioni*, non sono nè vegetariana nè vegana, non voglio mettermi etichette perchè mi sentirei schiacciata dal perfezionismo che deriva dall’etichettare qualcosa. Voglio sentirmi libera di mangiare una bistecca di carne se un giorno ne avrò voglia (per ora non sta succedendo) e di tornare a mangiare come prima se ne sentissi la necessità. Senza dovermi sentire additata da qualcuno come incoerente.
Per ora però, questo cambio nella mia alimentazione è ciò che di più importante e bello ho fatto accadere alla mia vita in questo strano 2020.
Mi sento bene, contribuisco a rendere un pochino più sostenibile la mia presenza su questo pianeta, faccio lo sport che facevo prima e ho le energie che avevo prima. Faccio del bene a me e al pianeta, non ultimo faccio del bene, indirettamente, a quegli animali che non contribuisco ad uccidere.

Perchè se è vero che i mercati non vengono influenzati dal singolo, è anche vero che i mercati vengono influenzati dalla domanda, e la domanda è fatta dai singoli acquirenti. E io ho il potere dei miei acquisti, e ho deciso di non far parte della domanda di “prodotti di origine animale”.

A fine lockdown, mentre pedalavo sui rulli come un criceto in gabbia, ho visto due documentari. Earthlings e Dominion. Se era vero che la questione animalista non mi stava a cuore, allora non avrei avuto problemi nel rendermi cosciente di quello che succede negli allevamenti di animale da carne, da latte e da uova. Non avrei avuto problemi nel vedere cosa succede agli animali che con la loro pelle forniscono la materia prima per le mie bellissime scarpe e le mie meravigliose borse in cuoio.
E invece qualche problema l’ho avuto. E ho capito che la vita degli esseri viventi tutti mi sta a cuore. E ho sentito dentro di me che la prevaricazione e lo sfruttamento degli animali negli allevamenti non è un affare giusto, e che se per mangiare il panino col prosciutto io sto pagando qualcuno perchè ammazzi un maiale, quel maiale lo sto ammazzando io.
E allora ho deciso che mangerò il panino con l’humus.

*il formaggio è il mio punto debole: mi piace e ce l’ho in casa perchè il mio compagno continua con una dieta onnivora seppur prevalente vegetale (mangia ciò che cucino e cucina ciò che trova in frigo). Ogni tanto mangio ancora il parmigiano e un po’ di gorgonzola sulla pizza. Mangio anche il miele, se è per questo, e il miele non è vegano. Non sono perfetta e non lo sarò mai, magari tornerò ad essere totalmente onnivora, magari smetterò di mangiare formaggio (se smettessimo di averlo in casa sarebbe molto più facile), magari adotterò un maiale, una capra, un cavolo, una piantagione di legumi. Una colonia di ratti. Quanto son carini i ratti. Di certo più dei ragni.

Credits:
Perchè mangiamo gli animali, J.S. Foer
Possiamo salvare il mondo prima di cena, J.S. Foer
E’ facile diventare un po’ più vegano se sai come farlo, S. Goggi
Cucina botanica, C. Perego
Game Changers
Cowspiracy
What the health
Plastic ocean
Earthlings
Dominion

IERI HO LAVORATO 13 ORE.

9 dicembre 2020

Ho finalmente cambiato reparto, due mesi fa. Ho finalmente lasciato le donne e le loro patologie, benigne e meno, ho smesso di vegliare di notte su sonni pesanti e tranquilli. L’avevo chiesto da quasi due anni, ma c’è voluto il covid perchè mi facessero cambiare posto di lavoro e mi accontentassero con il pronto soccorso.
Sono contenta e non tornerei indietro. Nonostante tutti i nonostante.
Nonostante l’onda di tsunami che continua imperterrita ad affogarci, nonostante i tutoni in cui si suda, e poi si gela. Nonostante i due, tre paia di guanti. Nonostante le mascherine ffp2 e ffp3 che finchè lavori incessantemente non ci pensi, ma se ti siedi un secondo ti tolgono il fiato. Nonostante i pazienti, qualcuno di loro sicuramente un negazionista, sicuramente qualcuno di loro che viene solo per un tampone, sicuramente qualcuno di loro pretenzioso, ma tutti, comunque, accomunati dalla paura e dalla solitudine.
Mi sento impotente nel non avere neanche il tempo di dar loro da bere, da mangiare, per accompagnarli in bagno. La situazione è tragica davvero.
Tragica per i morti. Tragica per noi che ci lavoriamo. Tragica per i parenti. Tragica per chi non ci crede.
E sarà tanto più tragica quanto più apriranno per le feste natalizie.
Noi ce l’aspettiamo già, la “terza ondata”. Che poi quale terza, mi viene da dire, che la seconda non tende a calare?
Questo piccolo ospedale in cui lavoro, questo piccolo pronto soccorso che ha un bacino d’utenza enorme fatto di pianura e di montagna, è un baluardo nel deserto, è una piccola roccaforte su cui spingono venti fortissimi.
I morti non si contano più.

Nonostante tutto, nonostante tutto, mi piace.

IL PAESELLO

20 Maggio 2020

Ho deciso di scoprire una carta che in tutti questi anni è stata nascosta, in questo non-luogo:

Il Paesello è Codogno.
Codogno nella sua triste nuova popolarità.
Codogno è il Paesello di cui tanto ho scritto in queste pagine negli anni passati, che mi ha visto ragazzina e adolescente e poi giovane donna, prima che io lo salutassi per trasferirmi a Bologna.
Il Paesello era appunto una piccola cittadina lombarda di pianura, in cui ho vissuto per otto anni, il luogo della mia crescita. Ne avevo 14 quando ci sono arrivata, dalla campagna di un centro ancora più piccolo, e 22 quando con due valigie ho preso un treno diretto a est e sono approdata nella vecchia Signora.

Quando il 21 febbraio scorso mi sono svegliata dopo la notte lavorativa, erano circa le 11 e come al solito la prima cosa che ho fatto ancora nel dormiveglia è stato scorrere facebook. Aspettavo l’arrivo dei miei genitori per il week end, quel pomeriggio. Avrebbero dovuto passare da me tre giorni, era dal 26 gennaio che non li vedevo (avrei controllato a posteriori).
Quando ho letto della notizia del primo caso ricoverato proprio lì, dove i miei genitori abitano e dove io sono cresciuta, abbiamo subito annullato l’incontro. Non sapevo, allora, che oggi, a tre mesi di distanza, ancora non avrei rivisto i miei, se non con le videochiamate, e che gli abbracci sarebbero stati vietati, così come le strette di mano, i sorrisi, le pacche sulle spalle: banditi.

Come una tossica guardavo ogni telegiornale, cercando riprese che mi svelassero angoli della città che ricordavo.
Da 13 anni non vivo più a Codogno e col passare del tempo sono sempre meno le volte che mi capita di passarci e di fermarmi.
Come una superstite fuggita appena in tempo, mi ritrovavo a dire ai miei colleghi che io, a Codogno, ci avevo speso tanto tempo, che conoscevo di vista quel primo contagiato, sua moglie faceva il mio stesso liceo, e che ancora lì ci stavano tanti miei amici. Che no, non ero stata a Codogno ultimamente. Che i miei sarebbero dovuti partire quello stesso giorno per venirmi a trovare, ma che si erano fermati in tempo.
In tempo per cosa, mi chiedo oggi.

Sono passati tre mesi e se nomini Codogno come un luogo diverso dalla sua triste attuale connotazione, oggi, ti guardano stupidi: esisteva anche prima del Covid?
Ma per me Codogno continua a essere quella che era. La mia casa, intanto. Con la mia camera dalla parete rossa, caldissima in estate che dovevo dormire sul pavimento, rotolando alla ricerca di un angolo fresco. Nebbiosa d’inverno, quella nebbia che qua ad Ovest si fa fatica a comprendere: troppo fitta, densa, bianca. Un diverso concetto di nebbia.
Per me Codogno è il liceo, giallo e brutto, col suo prato pieno di trifogli e qualche quadrifoglio. Il bar Cornali per le colazioni, il Penguin Cafè dove ho lavorato per un paio d’anni. Il mercato coperto, la saletta dove davamo lezione di italiano agli stranieri.
Codogno è il palazzetto, sede di tanti allenamenti e partite, con gli spogliatoi che puzzavano di piscio e la pizzeria che ci aspettava sia che avessimo perso o vinto.
Codogno rimane il viale della stazione che raggiungevo in bici per andare in università a Milano. Il sottopassaggio per il Nottetempo. Il Black Water e i sabato notte passati come cameriera quando avevo 19 anni. La strada per la Mulazzana, la strada per Pizzighettone (città murata), per Maleo e Cavacurta (allora Cavacurta, oggi ha un altro nome che neppure conosco).
Codogno è sempre il parco con la statua, sulle cui panchine rimanevo a leggere con una granita in mano. Codogno sono i miei ricordi di giocoleria, di impegno, di musica. E di amici che solo a quell’età di mezzo possono essere così fortemente amici. Silvia Elena Michela Franco Michele Marco, le compagne di pallavolo, i compagni di liceo, i flirt che duravano una settimana.

Oggi Codogno è dove vivono i miei genitori, dove il profumo di tigli è più intenso. Sono ricordi di momenti lontanissimi, eppure così vicini.
Non mi sento più a casa, là, ma sento fortissimo che casa lo è stata, per tanti anni.

E’ molto tempo che non torno, sicuramente più di un anno. Ma questi tre mesi di lontananza forzata, di reclusione e allontanamento legiferato, me l’hanno resa inarrivabile e dunque desiderabile.
Mi hanno fatto tornare forte la voglia di camminare per quelle vie che vedevo al telegiornale, di rientrare nei miei negozi preferiti, di prendere un caffè con quegli amici che da anni sento solo -ogni tanto- via whatsapp.

Il Paesello da cui scrivevo dei miei amori disperati e dei miei dubbi esistenziali è su tutti i giornali, ora tutti lo conoscono. Nessuno più mi chiede “hai detto che abitavi a Cologno?”, tutti capiscono al volo, Codogno è diventata famosa. Ma Codogno ben prima di diventare famosa per tutti, era speciale per me.

Il Paesello è Codogno, e questa carta scoperta è una regina di cuori.

VIGILANTE NOTTURNO

12 agosto 2019

Sono le 2.22 di notte, sono a lavoro, vigilo la notte di queste donne ricoverate, ancora in ginecologia, ancora per quanto, mi chiedo, ancora per quanto dovrò stare qua a fare queste lunghe notti silenziose (meno male) e faticose (purtroppo), con colleghe a volte troppo loquaci, a volte talmente scazzate che mi faranno santa, mi faranno.

Anche se scrivo solo ogni tanti mesi, la sostanza non cambia.
Sono ancora qua a fare le stesse cose, a pensare le stesse cose, a ristrutturare una casa (non è la stessa cosa, nè la stessa casa), a prepararmi per le vacanza come si confà ad una settimana di metà agosto.
Sono stata all’isola d’Elba, a luglio. C’ero stata, quattro anni fa, con Mr Late, il mio ex. Ero un po’ preoccupata di tornare negli stessi posti e rivivere quella che per noi fu il nostro ultimo viaggio insieme. Ho dei bei ricordi di quei giorni e avevo paura che tornare lì mi avrebbe gettato in uno stato di nost-algos profonda, quel sentimento di tristezza e felicità insieme, quel tenue ricordo, quel sentimento di ciò che non c’è più ma che è stato dolce, insomma avete capito, avevo paura di ricevere una bella mazzata sulla testa, e invece no, invece mio malgrado ho scoperto di avere una memoria molto corta, e di non ricordare praticamente alcun luogo, come se non vi fossi mai passata, come se non ci fossi mai stata, è stato tutto come nuovo, una scoperta continua, vaghi ricordi di un passato remoto che in realtà remoto non è. Ho la memoria dei pesci rossi e in questo caso è servito.

Sono stanca e ho bisogno di dormire, non in questo momento specifico, in generale, in questo periodo. Domani, che poi è già oggi, dormirò tutto il giorno. Approfitto di dormire quando danno brutto tempo e domani, a quanto pare, farà brutto. Dormire e leggere, in verità, perchè dopo tanto tempo senza lettura, mi sono finalmente riavvicinata al mio passatempo preferito. Mi sono comprata un e-reader e compro e-book scontati su amazon, che di solito sono storie poco impegnative, gialle o wanna-be giallo, insomma, leggo senza impegno la maggior parte del tempo e poi talvolta spunta un bel libro scritto bene e piacevole da leggere e sono già allenata alla lettura e non mi distraggo ogni 10 righe, che quando uno non legge da un po’ poi il rischio è che non riesca più a leggere.
Insomma, domani che è già oggi, dormirò e leggerò, e mi rotolerò tra quattro cuscini e lenzuola sudate, perchè, come in ogni agosto, mi sciolgo.

Il giovine vecchio è partito per un breve viaggetto coi suoi amici centauri, e proprio oggi, che poi è ieri, pensavo che non mi manca.
Insomma, sto bene. Ma non quel stare finalmente bene dopo l’insofferenza, bensì il continuare a stare bene perchè in fondo non ho bisogno di lui. Che per qualcuno sarà forse una bestemmia all’amore, ma per me è la cosa più bella. Non ho bisogno di lui perchè sto bene anche da sola, ma con lui sto meglio e quando siamo insieme mi fa piacere. Non sto con lui per necessità ma per scelta. E insomma, pensare di non aver bisogno di lui mi fa sentire in equilibrio e completa.
Quando tornerà a casa dopo questo breve viaggio sarò contenta, ma per l’intanto sto bene comunque.

Se si va a votare in autunno voterò Taffo Funeral Services.

OGNI TRE MESI RISPOLVERO LA PASSWORD

6 febbraio 2019

Non è che scrivendo una volta ogni molti mesi cambi qualcosa nella mia vita. Tutto rimane, spannometricamente, sempre lo stesso.
Però mi accorgo che se non scrivo, non penso.
O meglio, penso ma non capisco cosa penso, non razionalizzo, non formalizzo, bypasso. Penso ma non mi è utile perchè non rielaboro e non sono in grado di esplicitare.
E quindi dovrei scrivere. Ma quando, e come.
Ora, qua.

E’ febbraio e febbraio si sa che è un mese mediocre. Dura poco e non succede nulla. A parte che andremo in ferie. In Trentino a sciare. Scialpinismo che fa sempre bene agli occhi al cuore e al culo.
Nel senso che lo rassoda, il culo.
Ho chiesto il trasferimento. L’avevo scritto, che qua in ginecologia mi sento fuori luogo. E allora ho richiesto la rianimazione, vecchio amore, e il pronto soccorso. Chissà se. Chissà quando.
La ginecologia non mi piace. Non mi piace l’argomento, non mi piace la chirurgia ginecologica, non mi piacciono i ginecologi.

Odio Salvini.
Lo odio più di quanto non odiassi Berlusconi.
Odio Di Battista e Di Maio e tutti quelli che avendo votato i 5stelle ancora li supportano.
Ma come si fa.

L’altra sera ero da mia nonna e parlavamo. A mia nonna han diagnosticato una demenza senile di tipo Alzheimer, lei non lo sa, ma noi vediamo il declino ogni giorno. Non siamo ancora al momento in cui non ci riconosce e si perde per il paese, ma insomma, l’avanzamento del buio è visibile. Beh insomma parlavamo e lei mi diceva qualcosa come “sai, muoiono tutti. ho letto sul giornale locale che ieri è morto Pinco, nonno mi ha detto che l’altro ieri è morto Pallino, sai ci sono i manifesti del commerciante di chincaglierie di sotto i portici, ed è morto anche quell’altra che incontravo al mercato. Manca poco e toccherà me.”
Che, per carità, è proprio così, è una sicurezza talmente scontata che sì, prima o poi ti tocca cara nonna, ma cosa vuoi che ti dica se non le solite frasi fatte e il sempreverde “meglio morire da vecchi che da giovani” in cui mi rifugio sempre, poco professionalmente, quando i miei anziani pazienti mi dicono che è brutto invecchiare.
Sti cazzi però.
Insomma, ero lì che banalizzavo le preoccupazioni di mia nonna quando, SBANG! epifania!: io morirò.
Cercate di capirmi. Ovvio che so che morirò. Moriremo tutti e tutti son sempre morti ed è una inevitabilità a cui non si scappa, ma in quel momento ho avuto un paio di secondi di chiarissima consapevolezza della mia fine.
Ed è stato angosciante.
Io finirò. Un giorno in un momento non deciso, smetterò di esistere. Smetterò di respirare e poi il mio cuore si fermerà. E io non sarò più.
La mia centralità, che è quella da cui guardo il mondo da 34 anni, svanirà. Non esisterà più, e io con lei.
Adesso che lo scrivo sembra scontato e sciocco, lo so. Ma quei due secondi, che son bastati, ho percepito la mia assenza.

Poi sono uscita a fare aperitivo.