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IL PAESELLO

20 Maggio 2020

Ho deciso di scoprire una carta che in tutti questi anni è stata nascosta, in questo non-luogo:

Il Paesello è Codogno.
Codogno nella sua triste nuova popolarità.
Codogno è il Paesello di cui tanto ho scritto in queste pagine negli anni passati, che mi ha visto ragazzina e adolescente e poi giovane donna, prima che io lo salutassi per trasferirmi a Bologna.
Il Paesello era appunto una piccola cittadina lombarda di pianura, in cui ho vissuto per otto anni, il luogo della mia crescita. Ne avevo 14 quando ci sono arrivata, dalla campagna di un centro ancora più piccolo, e 22 quando con due valigie ho preso un treno diretto a est e sono approdata nella vecchia Signora.

Quando il 21 febbraio scorso mi sono svegliata dopo la notte lavorativa, erano circa le 11 e come al solito la prima cosa che ho fatto ancora nel dormiveglia è stato scorrere facebook. Aspettavo l’arrivo dei miei genitori per il week end, quel pomeriggio. Avrebbero dovuto passare da me tre giorni, era dal 26 gennaio che non li vedevo (avrei controllato a posteriori).
Quando ho letto della notizia del primo caso ricoverato proprio lì, dove i miei genitori abitano e dove io sono cresciuta, abbiamo subito annullato l’incontro. Non sapevo, allora, che oggi, a tre mesi di distanza, ancora non avrei rivisto i miei, se non con le videochiamate, e che gli abbracci sarebbero stati vietati, così come le strette di mano, i sorrisi, le pacche sulle spalle: banditi.

Come una tossica guardavo ogni telegiornale, cercando riprese che mi svelassero angoli della città che ricordavo.
Da 13 anni non vivo più a Codogno e col passare del tempo sono sempre meno le volte che mi capita di passarci e di fermarmi.
Come una superstite fuggita appena in tempo, mi ritrovavo a dire ai miei colleghi che io, a Codogno, ci avevo speso tanto tempo, che conoscevo di vista quel primo contagiato, sua moglie faceva il mio stesso liceo, e che ancora lì ci stavano tanti miei amici. Che no, non ero stata a Codogno ultimamente. Che i miei sarebbero dovuti partire quello stesso giorno per venirmi a trovare, ma che si erano fermati in tempo.
In tempo per cosa, mi chiedo oggi.

Sono passati tre mesi e se nomini Codogno come un luogo diverso dalla sua triste attuale connotazione, oggi, ti guardano stupidi: esisteva anche prima del Covid?
Ma per me Codogno continua a essere quella che era. La mia casa, intanto. Con la mia camera dalla parete rossa, caldissima in estate che dovevo dormire sul pavimento, rotolando alla ricerca di un angolo fresco. Nebbiosa d’inverno, quella nebbia che qua ad Ovest si fa fatica a comprendere: troppo fitta, densa, bianca. Un diverso concetto di nebbia.
Per me Codogno è il liceo, giallo e brutto, col suo prato pieno di trifogli e qualche quadrifoglio. Il bar Cornali per le colazioni, il Penguin Cafè dove ho lavorato per un paio d’anni. Il mercato coperto, la saletta dove davamo lezione di italiano agli stranieri.
Codogno è il palazzetto, sede di tanti allenamenti e partite, con gli spogliatoi che puzzavano di piscio e la pizzeria che ci aspettava sia che avessimo perso o vinto.
Codogno rimane il viale della stazione che raggiungevo in bici per andare in università a Milano. Il sottopassaggio per il Nottetempo. Il Black Water e i sabato notte passati come cameriera quando avevo 19 anni. La strada per la Mulazzana, la strada per Pizzighettone (città murata), per Maleo e Cavacurta (allora Cavacurta, oggi ha un altro nome che neppure conosco).
Codogno è sempre il parco con la statua, sulle cui panchine rimanevo a leggere con una granita in mano. Codogno sono i miei ricordi di giocoleria, di impegno, di musica. E di amici che solo a quell’età di mezzo possono essere così fortemente amici. Silvia Elena Michela Franco Michele Marco, le compagne di pallavolo, i compagni di liceo, i flirt che duravano una settimana.

Oggi Codogno è dove vivono i miei genitori, dove il profumo di tigli è più intenso. Sono ricordi di momenti lontanissimi, eppure così vicini.
Non mi sento più a casa, là, ma sento fortissimo che casa lo è stata, per tanti anni.

E’ molto tempo che non torno, sicuramente più di un anno. Ma questi tre mesi di lontananza forzata, di reclusione e allontanamento legiferato, me l’hanno resa inarrivabile e dunque desiderabile.
Mi hanno fatto tornare forte la voglia di camminare per quelle vie che vedevo al telegiornale, di rientrare nei miei negozi preferiti, di prendere un caffè con quegli amici che da anni sento solo -ogni tanto- via whatsapp.

Il Paesello da cui scrivevo dei miei amori disperati e dei miei dubbi esistenziali è su tutti i giornali, ora tutti lo conoscono. Nessuno più mi chiede “hai detto che abitavi a Cologno?”, tutti capiscono al volo, Codogno è diventata famosa. Ma Codogno ben prima di diventare famosa per tutti, era speciale per me.

Il Paesello è Codogno, e questa carta scoperta è una regina di cuori.

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