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HOSPICE

13 luglio 2013

On air: questa.

[Stanotte ho sognato che ero a Porto, con una bicicletta e le gatte nel cestino, sgommavo sul sagrato di una chiesa tra cantanti e saltimbanchi ed ero così arrabbiata perchè chi mi aveva chiesto di fare dei figli in realtà non m’amava. Pensieri confusi.]

Lunedì sarà il mio ultimo giorno dell’ultimo tirocinio dell’ultimo anno dell’ultimo corso di laurea che frequenterò, ovvero di infermieristica, questo percorso quasi alla fine che mi ha fatto diventare come sono ora, non troppo distante da quella che ero, sempre acida e ingodibile, ma con qualche accortezza e sensibilità in più, credo io.

Quattro settimane in hospice, 11 letti e circa 18 persone conosciute, con le loro famiglie.
Qualcuno tempo fa mi aveva detto qualcosa che risuonava come “l’hospice è un pessimo posto dove si fa finta che tutto sia normale quando non è normale nulla” e io non avevo risposto perchè cosa ne sapevo io, allora, dell’hospice?

E cosa ne so oggi, per cercare di dare una risposta?

Ne so molto poco. Ma qualcosa in più.

Intanto che l’hospice non è il luogo dove si muore, ma dove si vive. Che le Cure Palliative non sono le Cure del nonc’èpiùnulladafare, ma del c’ècosìtantodafare che non si può perdere neanche un minuto. Il concetto, che fa la differenza dai reparti a cui sono abituata, è che il minimo fastidio, non ha il motivo di esserci. E’ il luogo dove il dolore, la nausea, il singhiozzo, la tosse, la tristezza, la paura, la stitichezza, il mal di pancia, il mal di testa, il pianto vengono affrontati. A faccia aperta, senza schivare le domande, senza paura di dire la parola MORTE, senza paura di salutarsi, di esprimersi. Dove è permesso sedersi sui letti dei pazienti, dove la terapia per sintomi è unita al dialogo, al tocco, allo spazio, al silenzio. Dove i parenti non sono mai troppi, dove non ci sono orari di visita. Dove ci si dà del tu, se si vuole. Dove si ride. 
E si piange anche senza troppe reticenze. 
Dove le famiglie mangiano la pizza guardando un film al letto di un caro che è ancora lì, a metà strada, che c’è e non c’è, appeso ad un battito di cuore che non accenna a smettere, che tenta un faticoso movimento degli occhi quando sente voci amate, che sta terminando il suo tempo, bene.

L’hospice è il luogo terapeutico della qualità di vita. I pazienti che arrivano, lo si vede chiaramente, preoccupati, taciturni, doloranti, chiusi e con la fronte corrugata, in pochi giorni si rilassano, si lasciano andare. Non hanno più male, le strategie e il tempo e i farmaci messi a loro disposizione, le attenzioni e il tempo che si condivide aiutano a sorridere. 

L’hospice non è il luogo dove si fa finta che tutto sia normale. Ma dove tutto è normale.
Dove il morire non è allontanato, dove i corpi esanimi vengono ancora lavati e vestiti in camera, dove le camere sono case, dove è permesso chiedere, dove le risposte non eludono verità, senza mai togliere la speranza e senza mai smettere di darsi obiettivi raggiungibili, anche a breve, brevissimo termine, anche obiettivi di mancanza, mancanza dal dolore, dalla sofferenza, dalla mancanza di fiato, dalla paura. 

Morirò vero, ormai lo so?
Morirai, si, Graziella. Oggi non ci sono medicine per guarire la tua malattia, ma ci sono molte modalità per curare tutta te, dalla punta del capelli a quella dei piedi. Hai paura del morire?
Solo di soffrire. Quanto ci metterò?
Nessuno lo sa. Ma siamo tutti qua per far si che il tempo che resta sia il più lieve possibile. Per te e per tuo figlio. Che possiate stare presenti l’uno all’altro, senza dolore fisico e nel miglior modo possibile, tutte le ore e i giorni e le settimane che restano. 

L’hospice è il luogo dove la morte arriva, dove la si aspetta, dove è normale. Non si cerca di allontanarla nè di avvicinarla, non si determinano tempi. La morte stupisce all’improvviso e per il ritardo, ma è la vita che ti affronta con maggior coraggio e sfrontatezza, la solitudine, il dolore di chi resta, questo è ancora più difficile.

La morte non mi ha intristita troppo, non mi ha scioccato il corpo gelido senza circolo, l’incompostezza degli arti, il peso morto dei morti. Mi ha schiaffeggiato l’amore. L’amore dei figli, dei mariti, delle mogli. Dei nipoti. Mi ha schiaffeggiato l’amicizia. Mi ha schiaffeggiato delle speranze dure a morire. Gli abbracci e le lacrime da vivi. Il tempo che resta. La cura di un figlio che sistema la parrucca alla madre per l’ultima volta, di un marito anziano che imbocca la moglie parlandole delle uova fatte dalle galline di casa, la pazienza di una moglie che per settimane ha tenuto la mano al marito che non voleva andarsene da un corpo ormai senza coscienza, una intera tribù di bambini e ragazzi e adulti a tenere compagnia a una donna giovane come mia madre, troppo stanca per parlare ma non per ascoltare. 

Temevo che l’hospice fosse il luogo della morte, e ho scoperto invece che è quello della vita. 

 

 

17 commenti leave one →
  1. 13 luglio 2013 12:16

    Aggiungerei una sola cosa: è il luogo della dignità.
    Sarebbe ancora meglio se fosse il luogo dove scegliere, se lo si desidera, anche il “quando” senza lo stillicidio della pena di stare ad aspettare l’inevitabile.

    —Alex

    • mantiduzza permalink*
      14 luglio 2013 15:02

      è vero: il luogo della dignità.

  2. 13 luglio 2013 12:35

    Ei, che bello leggere qua… anche se mi è venuto un po’ di magone di sabato mattina 🙂
    Davvero bello leggere comunque

    • mantiduzza permalink*
      14 luglio 2013 15:05

      Grazie Chesogni.
      non mi sono dimenticata di te, eh, ma tra tesi e tirocinio non ho avuto il tempo di guardare per bene quello che mi hai mandato.
      Lo farò!

  3. Anna Maria Rosignoli permalink
    14 luglio 2013 11:40

    Quando si è conosciuto l’hospice si cambia, la vita assume un altro valore e un altro significato. Tutte vere le cose che racconti…ed è assolutamente incalcolabile il sollievo che questo ambiente arreca al paziente e alla famiglia. Io ho ricevuto veramente tanto ed ora mi sto impegnando nel volontariato perchè vorrei riuscire a ricambiare in qualche modo, a restituire un po’ di tutto ciò che ho ricevuto.

    • mantiduzza permalink*
      14 luglio 2013 15:09

      Ciao Anna Maria, benvenuta. Sono contenta che la tua esperienza dell’hospice, nonostante il dolore che porta con sè, sia stata un’esperienza positiva. Per me lo è stata, da studentessa, e molto.
      Non so dove troverò lavoro, nè quando, ma mi piacerebbe riuscire a portare con me, in qualsiasi reparto, l’umanità che ho trovato in hospice.

      • Anna Maria Rosignoli permalink
        14 luglio 2013 16:59

        Ti ringrazio del benvenuto, sicuramente seguirò il tuo blog, perchè mi piace vedere una giovane che si avvia alla professione infermieristica con tanto entusiasmo; io ho fatto l’infermiera per quarant’anni, sono da poco in pensione e devo dirti che ho visto la nostra bellissima professione acquisire tanta conoscenza, tecnologia, specializzazione e purtroppo perdere umanità e compassione, non si cura più IL MALATO ma la malattia trascurando la persona. Tu inizi bene continua a far tesoro dell’esperienza che hai acquisito: In bocca al lupo.

  4. 14 luglio 2013 11:54

    Che dire? Sei davvero una grande
    Ciao

    • mantiduzza permalink*
      14 luglio 2013 12:30

      🙂

      ti manderò il curriculum!!

  5. antonella permalink
    14 luglio 2013 16:28

    è proprio vero, apprezzi il vero senso della vita. sono un’infermiera che lavora da 10 anni all’hospice di agrigento ed ho accompagnato tantissime persone a questo trapasso a volte dolce a volte doloroso sono contenta di aver assistito con umanità professionalità e dolcezza quelle persone che si sono affidate alle ns. cure. nn cambierei mai il mio reparto.

    • Luca permalink
      25 marzo 2016 00:10

      Ciao Antonella mio papà sarà presto da te, anche se c’è un dubbio che mi angoscia. Hospice, ho lo porto a casa e provo io con le cura naturali ( non scientificamente approvate) e con medicine che stimolano il sistema immunitario? Ho trovato i tuoi messaggi su internet come ho trovato decine di testimonianze di persone che si sono curate così. E mi viene da pensare che, se un paziente malato di cancro può guarire con pochi euro magari il business del cancro finirebbe. Boh…!!!! Che Dio abbi pietà di noi

  6. 14 luglio 2013 19:40

    Davvero un bel post. Grazie.

  7. marzia permalink
    15 luglio 2013 09:00

    bel post, complimenti.

  8. annalisa permalink
    16 luglio 2013 15:35

    Mi ricordo 30 anni fa quando mia mamma mori’ di tumore al seno quanta sofferenza …….poi mia zia sua sorella la stessa sorte, ma accudita all’hospice …….più serena meno sofferente più accudita………dignita’
    annalisa

  9. 17 luglio 2013 14:39

    ti ringrazio di questo post

  10. 19 luglio 2013 12:52

    Brava Mantiduzza, hai afferrato l’anima delle cure palliative e l’hai fatta tua. Data la sensibilità che hai dimostrato spero che continuerai a lavorare in questo settore. Auguri per tutto.

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