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MCF E POSITIVITA’

20 luglio 2010

Ieri sera cena di settore MKTG della MCF. Stendiamo un velo pietoso.
Oggi ho parlato con il capo mussoliniano (capo del capo del mio capo). Stendiamo un velo pietoso.

In questo post voglio parlare di lavoro e positività.
Si, perchè esiste, eh.
Io ho un capo. Che ha un capo che ha un capo che ha un capo. Poi basta.
Oh, io non son capo di nessuno, per dire.
Ma parliamo del mio capo.
Quello che all’inizio del mio lavorare in MCF mi piaceva pure, carino, giovane, simpatico, (sposato), alla mano ecceteraeccetera. Lo sognavo pure, all’inizio. E nel sogno si limonava duro.
Sottolineiamo: io il mio capo lo odio anche, a volte. Se no che capo sarebbe?
Ma è carino giovane simpatico alla mano, e si, insomma, mi piace. Mi piace come capo, come persona, come uomo sposato caruccio da guardare e non toccare, con cui fare gli scemi e ridere in corridoio ma niente in più, OVVIAMENTE.
Ma veniamo a noi, lasciamo da parte i miei ormoni e i miei sopiti istinti gerontofili.

Oggi pomeriggio ero su Bolognina che pedalavo verso casa, quando mi suona il telefono. E’ il mio capo.
Mi chiede se andiamo a bere qualcosa insieme.
Ci troviamo sotto casa mia e andiamo in un parco, baracchina delle angurie, panchine all’ombra, e chiacchiere tante chiacchiere.

Parliamo di tutto, parlo di tutto. Racconto cose di me che non gli ho mai detto, alla fine tra 10 giorni non saremo più colleghi. Chiacchieriamo fino a parlare di lavoro, al perchè me ne vado, cosa vado a fare, cosa mi aspetto.
Ma è un parlare fluente, uno scambio di battute e risate, di momenti di ascolto e momenti di racconto.
Vien tutto naturale, dirgli cose che mai pensavo avrei detto a lui, il mio capo che non deve sapere perchè me ne voglio andare.
E invece dico tutto e mentre parlo lui sorride.
E gli racconto di come pian pianino tutto abbia preso forma in me, partendo dal mio malessere a Bologna, passando da Mirta, per i miei sogni di bambina, i viaggi, e la morte, e il tempo, e lo straordinario pagato che non vale il tempo non vissuto, e i budget, e i soldi, e la carriera che non mi interessa, la vita che voglio vivere, dei progetti, dello studio, delle mie crisi d’ansia, dei miei genitori, di me e delle persone che conosco. Insomma, gli dico chi sono, ora.
E lui in silenzio mi ascolta, e poi mi racconta di sè, di come condivide quello che gli ho detto, delle difficoltà di conciliare lavoro e etica, essere se stessi e alienazione aziendale, di come a 36 anni pensa quello che penso io a 26, e del fatto che sia contento che io me ne vada, almeno saremo finalmente amici.

E poi mi porta a casa, metto a freno gli ormoni, ci salutiamo senza limone duro, domani saremo ancora lì, in due uffici diversi ma vicini. Per altri 8 giorni lavorativi.

3 commenti leave one →
  1. 21 luglio 2010 12:37

    apparte che mi fai morire dal ridere :-)….

    ..poi mi sembra che tu sia sulla strada buone per poter vivere bene il tutto che ti circonda..se la prendi cosi leggera, e cosi positiva tutto andra’ per il meglio…e cerca di limonare duro non solo nei sogni

  2. 21 luglio 2010 14:50

    l’esperienza mi insegna che non è sempre consigliato parlare così apertamente di sè al proprio capo, o quasi ex capo. Però se ti sei sentita bene mentre lo facevi, allora probabilmente ne avevi bisogno!!
    che caldo!!!
    ciàààà

  3. 21 luglio 2010 18:39

    …finalmente amici, eh?
    Sai, non credo che tu abbia fatto benissimo a dirgli tutto.
    Ma forse non gli hai detto proprio proprio tutto. O no?

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